giovedì 30 ottobre 2008

Ancora Ricolfi su La Stampa

Mi scuso come al solito per la poca presenza sul blog, ma vi voglio segnalare questo articolo:

Due patti scellerati

Il decreto Gelmini è stato convertito in legge, scuola e università sono in agitazione. Il mondo della scuola scenderà in piazza oggi (chissà perché dopo e non prima dell’approvazione del decreto?), mentre l’Università si mobiliterà il 14 novembre, per combattere tagli che furono decisi fra giugno e agosto, quando il Partito democratico riteneva inopportuno scendere in piazza («Noi manifesteremo il 25 ottobre»). Misteri della politica italiana.

Ma parliamo della sostanza. Che cosa sta succedendo nella scuola e nell’università? Perché studenti, docenti e genitori paiono trovarsi dalla medesima parte della barricata?

Quel che sta succedendo è relativamente chiaro, almeno per chi conosce i dati di fondo dell’istruzione in Italia e riesce a non farsi accecare dalle proprie credenze politiche. Sia la scuola sia l’università dissipano una quota di risorse pubbliche considerevole, nel senso che spendono più soldi di quanti, con un’organizzazione più efficiente, basterebbero a garantire i medesimi servizi. Su questo, quando si trovano al governo, destra e sinistra la pensano allo stesso modo.

Chi avesse dei dubbi può consultare due documenti del governo Prodi (il «Quaderno bianco sulla scuola» e il «Libro verde sulla spesa pubblica»). Credo non si sia lontani dal vero dicendo che, con una migliore allocazione delle risorse, sia la spesa della scuola sia la spesa dell’università potrebbero essere ridotte di almeno il 10 per cento a parità di output.

La novità di questi mesi non sta nella diagnosi, ma nella determinazione con cui si sta passando dalle parole ai fatti: la destra al governo sta facendo con la consueta ruvidezza molte cose che la sinistra stessa, magari con più garbo, avrebbe fatto se ne avesse avuto la forza, il tempo e il coraggio (fra queste cose c’è, ad esempio, il rispetto delle norme Bassanini sul numero minimo di allievi per scuola, varate dal centro-sinistra ben 10 anni fa). Del resto fu lo stesso Padoa-Schioppa, all’inizio della scorsa legislatura, ad avvertirci che certi sprechi non possiamo più permetterceli e a ricordarci che il problema di eliminarli dovremmo porcelo comunque, persino se avessimo i conti perfettamente in ordine: ogni spesa, infatti, ha un «costo opportunità», ossia è sottratta ad impieghi alternativi (se buttiamo al vento 8 miliardi per false pensioni di invalidità, automaticamente rinunciamo a una cifra equivalente in asili nido, sussidi di disoccupazione, aiuti ai poveri, sostegno ai non autosufficienti ecc.).

Su questo il governo ha ragioni da vendere, anche se non si può non rilevare che molte misure - pur condivisibili negli obiettivi - diventano criticabili per il modo in cui sono messe in pratica. È il caso, per fare l’esempio più importante, dei tagli all’università, che sarebbero ben più accettabili se punissero ancora più duramente gli atenei in dissesto, ma premiassero con più e non meno soldi gli atenei virtuosi.

Ma quella degli sprechi è solo una delle due facce del problema dell’istruzione in Italia. L’altra faccia è il tragico declino dei livelli di apprendimento, la scarsissima preparazione dei nostri diplomati e laureati, specialmente nelle regioni meridionali. Di questo sono corresponsabili ministri e docenti, ma anche gli studenti e soprattutto le loro famiglie. Il sistema dell’istruzione in Italia si regge su due patti scellerati: nella scuola, il patto fra insegnanti e famiglie, nell’università il patto fra docenti e studenti. Il cardine del primo patto è: l’importante è che il ragazzo sia sereno, vada avanti senza soffrire troppo, prenda il diploma; che poi impari molto o poco conta di meno. Il cardine del secondo patto è: l’importante è arrivare alla laurea, non importa in quanto tempo e imparando che cosa; noi professori pretendiamo sempre di meno da voi studenti, voi studenti non ci importunate e vi accontentate di quel poco che riusciamo a trasmettervi. Naturalmente ci sono anche - nella scuola come nell’università - isole felici e importanti eccezioni, ma il quadro generale è purtroppo diventato questo.

Sono precisamente i due patti non scritti che spiegano l’inconsueta alleanza fra una parte dei docenti, una parte degli studenti e una parte dei genitori. I docenti difendono i posti di lavoro (nella scuola) e le carriere (nell’università). I genitori difendono una scuola che insegna poco e male, ma in compenso non stressa i ragazzi e risolve non pochi problemi reali delle famiglie, specie quando la madre lavora. I ragazzi sono preoccupati per l’avvenire e temono di essere le uniche vittime dei cambiamenti che si stanno preparando per loro.

E hanno perfettamente ragione. Solo che indirizzano la loro ira verso il bersaglio sbagliato. Se fossero calmi e lucidi avrebbero già capito che il futuro non glielo ruba la Gelmini, ma glielo hanno già rubato molti degli adulti al cui fianco marciano con tanta convinzione. La precarietà dei giovani e il ristagno del sistema Italia sono anche il risultato non voluto e non previsto di una lunga e colpevole disattenzione per la qualità dell’istruzione. Il governo non è certo innocente, perché non c’è quasi nulla nei provvedimenti di cui da mesi si discute che lasci prefigurare un innalzamento apprezzabile del livello degli studi, e c’è persino qualcosa che fa temere un ulteriore declino. Ma coloro che aizzano bambini e ragazzi contro le misure del governo non la contano giusta: se davvero avessero a cuore il futuro dei nostri giovani si batterebbero come leoni per tagliare i rami secchi e rendere gli studi molto più seri, più rigorosi, più profondi. Perché lo smarrimento e l’angoscia di questa generazione sono genuini e pienamente comprensibili, ma sono anche il frutto della superficialità con cui gli adulti hanno permesso la distruzione della scuola e dell’università.

mercoledì 29 ottobre 2008

Dossier su riforma della scuola

Mi hanno segnalato su Tuttoscuola, questo interessante dossier:


I numeri della scuola: se l'errore è bipartisan
Uno studio di Tuttoscuola sulle cifre del governo e su quelle dell'opposizione


Vale la pena di leggerlo, rivela gli errori in entrambi i dossier degli scorsi giorni.

martedì 28 ottobre 2008

Editoriale del Professor Giavazzi sul Corriere della sera

La fabbrica dei docenti


La situazione nelle nostre università è paradossale. Studenti e professori protestano contro una riforma che non esiste; il ministro, preoccupato dalle proteste, non si decide a spiegare quel che intende fare per riformare l'università. L'unica certezza è che nei prossimi mesi si svolgeranno nuovi concorsi per 2.000 posti di ricercatore e 4.000 posti di professore ordinario e associato, ai quali seguiranno, entro breve, altri 1.000 posti di ricercatore. In tutto 7.000 posti, più del dieci per cento dei docenti oggi di ruolo.

I 4.000 posti di professore saranno semplicemente promozioni di persone che sono dentro l'università. Le promozioni avverranno secondo le vecchie regole, cioè con concorsi finti. E' assolutamente inutile che un giovane ricercatore che consegue il dottorato a Chicago o a Heidelberg faccia domanda: di ciascun concorso già si conosce il vincitore. I 3.000 concorsi per ricercatore assicureranno un posto a vita ad altrettanti dottorandi che lamentano la loro condizione di precari. In tutte le università del mondo ad un certo punto si ottiene un posto a vita, ma ciò avviene solo dopo aver dimostrato ripetutamente di saper conseguire risultati nella ricerca.

Qui invece si chiede la stabilizzazione per decreto senza neppure che sia necessario aver conseguito il dottorato. Il ministro ha ereditato questi concorsi dal suo predecessore e non pare aver la forza per cambiarli e assegnare i posti secondo criteri di merito piuttosto che di fedeltà. Gli studenti ignorano tutto ciò e sembrano non capire l'importanza di meccanismi di selezione rigorosi, in assenza dei quali le università che frequentano vendono favole. In quanto ai professori, buoni, buoni, zitti, zitti. Se questi concorsi andranno in porto ogni discussione sulla riforma dell'università sarà d'ora in poi vana: per dieci anni non ci sarà più posto per nessuno e ai nostri studenti migliori non rimarrà altra via che l'emigrazione.

La legge finanziaria dispone un taglio ai fondi all'università che è significativo, ma non drammatico: in media il 3% l'anno (1,4 miliardi in 5 anni su una spesa complessiva di circa 10 miliardi l'anno). Si parte da tagli quasi nulli nel 2009, mentre poi le riduzioni diverranno via via crescenti per raggiungere la media del 3% nell' arco di un quinquennio. Il taglio non è terribile, anche considerando che la stessa Conferenza dei rettori ammette che in Italia la spesa per studente è più alta che in Francia e in Gran Bretagna. Comunque reperire risorse è sempre possibile: ad esempio, si potrebbero cancellare le regole sull' età di pensionamento approvate dal governo Prodi, ritornare alla legge Maroni e investire i denari così risparmiati nella ricerca e nell'università. Né mi parrebbe osceno far pagare tasse universitarie più elevate alle famiglie ricche e usare il ricavo in parte per compensare i tagli, in parte per finanziare borse di studio per i più poveri.

Come spiega Roberto Perotti in un libro che chiunque si occupa dell'università dovrebbe leggere («L'università truccata», Einaudi, 2008) tasse uguali per tutti sono un modo per trasferire reddito dai poveri ai ricchi. I dati dell'indagine sulle famiglie della Banca d'Italia, citati da Perotti, mostrano che il 24% degli studenti universitari proviene dal 20% più ricco delle famiglie; solo l'8% proviene dal 20% più povero. Nel Sud la disparità è ancora più ampia: 28% contro 4%. Il ministro Gelmini afferma che il suo modello è Barack Obama: forse il ministro non sa quanto costa a una famiglia americana mandare il figlio in una buona università. In una delle migliori, il Massachusetts Institute of Technology, la frequenza costa 50.100 dollari l'anno (40.000 euro), ma il 64% degli studenti che frequentano il primo livello di laurea riceve una borsa di studio.

lunedì 27 ottobre 2008

Ancora Peppino Caldarola

Seppellito il riformismo, sono tornati alla politica con la clava


Il Circo Massimo è una grande piazza per i numeri, dai concerti di Antonello Venditti, allo scudetto della Roma con spogliarello di Sabrina Ferilli, ai festeggiamenti per il mondiale dell’Italia.
È una piccola piazza per la politica. Cominciò Sergio Cofferati, ha finito ieri Walter Veltroni. Due milioni e mezzo di persone sono una cifra da sogno. La realtà dice molto meno. La politica toglie ancora qualcosa.
Il Pd ha mobilitato meno persone di quella Cgil che protestava contro l’abolizione dell’articolo 18, ma in tutte e due le occasioni il leader ha volato basso. Cofferati stupì tutti con un discorso grigio che deluse chi sperava di sentire battere il cuore della sinistra.
Veltroni ha provocato una tachicardia che rischia di essere mortale per il cuore riformista del Partito democratico.
Il discorso del capo del Pd è stato un tuffo nel passato. C’era tutto l’ultimo Berlinguer, quello che, pentito dell’unità nazionale, chiamava a raccolta tutto il radicalismo comunista per nascondere una sconfitta che si avvicinava a grandi passi. La stessa operazione ha fatto ieri Veltroni.
La chiave del suo ragionamento è stata fondata sulla estraneità della destra rispetto al Paese. La diversità comunista era un dato ideologico e morale. La diversità veltroniana diventa oggi un connotato antropologico. Siamo oltre la damnatio che i vecchi comunisti agitavano contro i nemici del popolo, e siamo al di sotto della vis polemica che caratterizza gli scontri politici negli Usa e nella Gran Bretagna.

Veltroni ha scelto la strada impervia della genetica superiorità morale della sinistra sulla destra.

Non siamo tornati indietro. Siamo tornati alle palafitte e alla politica con la clava. L’ultimo Veltroni seppellisce il Veltroni blairiano e dialogante dell’esordio.
Forse è quella piazza che porta male alla politica.
Al Circo Massimo si concluse, nel momento del bagno di folla, la carriera politica di Cofferati e forse al Circo Massimo è morto ieri il Veltroni riformista.
È nato il capo di un partito radicale di massa, che resterà a lungo all’opposizione. V
eltroni ha detto in buon italiano quello che Di Pietro avrebbe detto violentando sintassi e grammatica. Ha parlato il linguaggio di Furio Colombo, di Flores D’Arcais, di Travaglio e di Santoro.
Ottima audience, fallimento elettorale alle viste. Per i riformisti di sinistra inizia un viaggio catacombale.

giovedì 23 ottobre 2008

Le bugie sulla scuola

Sugli errori contenuti in queste slides, vi invito a leggere lo studio di Tutto scuola, i riferimenti sono pubblicati in un post del 29/10/2008.
















mercoledì 22 ottobre 2008

lunedì 20 ottobre 2008

Il testo del decreto "Gelmini" (come è in discussione al Senato)

Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;


Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di attivare percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della legalità ed al rispetto dei principi costituzionali, disciplinare le attività connesse alla valutazione complessiva del comportamento degli studenti nell’ambito della comunità scolastica, reintrodurre la valutazione con voto numerico del rendimento scolastico degli studenti, adeguare la normativa regolamentare all’introduzione dell’insegnante unico nella scuola primaria, prolungare i tempi di utilizzazione dei libri di testo adottati, ripristinare il valore abilitante dell’esame finale del corso di laurea in scienze della formazione primaria e semplificare e razionalizzare le procedure di accesso alle scuole di specializzazione medica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 28 agosto 2008;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l’innovazione;

emana

il seguente decreto-legge:


Articolo 1.

(Cittadinanza e Costituzione)




1. A decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione», nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia.




1-bis. Al fine di promuovere la conoscenza del pluralismo istituzionale, definito dalla Carta costituzionale, sono altresì attivate iniziative per lo studio degli statuti regionali delle regioni ad autonomia ordinaria e speciale.

2. All’attuazione del presente articolo si provvede entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.



Articolo 2.



(Valutazione del comportamento degli studenti)



1. Fermo restando quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, in materia di diritti, doveri e sistema disciplinare degli studenti nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, in sede di scrutinio intermedio e finale viene valutato il comportamento di ogni studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica, anche in relazione alla partecipazione alle attività ed agli interventi educativi realizzati dalle istituzioni scolastiche anche fuori della propria sede.




1-bis. Le somme iscritte nel conto dei residui del bilancio dello Stato per l’anno 2008, a seguito di quanto disposto dall’articolo 1, commi 28 e 29, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, non utilizzate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere destinate al finanziamento di interventi per l’edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti scolastici ovvero di impianti e strutture sportive dei medesimi. Al riparto delle risorse, con l’individuazione degli interventi e degli enti destinatari, si provvede con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.



2. A decorrere dall’anno scolastico 2008/2009, la valutazione del comportamento è effettuata mediante l’attribuzione di un voto numerico espresso in decimi.




3. La votazione sul comportamento degli studenti, attribuita collegialmente dal consiglio di classe, concorre alla valutazione complessiva dello studente e determina, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso o all’esame conclusivo del ciclo. Ferma l’applicazione della presente disposizione dall’inizio dell’anno scolastico di cui al comma 2, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca sono specificati i criteri per correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al voto inferiore a sei decimi, nonché eventuali modalità applicative del presente articolo.

Articolo 3.



(Valutazione sul rendimento scolastico degli studenti)

1. Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite sono effettuate mediante l’attribuzione di voti numerici espressi in decimi e illustrate con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall’alunno.




1-bis. Nella scuola primaria, i docenti, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione.


2. Dall’anno scolastico 2008/2009, nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite nonché la valutazione dell’esame finale del ciclo sono effettuate mediante l’attribuzione di voti numerici espressi in decimi.


3. Nella scuola secondaria di primo grado, sono ammessi alla classe successiva, ovvero all’esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline.




3-bis. Il comma 4 dell’articolo 185 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, è sostituito dal seguente:

«4. L’esito dell’esame conclusivo del primo ciclo è espresso con valutazione complessiva in decimi e illustrato con una certificazione analitica dei traguardi di competenza e del livello globale di maturazione raggiunti dall’alunno; conseguono il diploma gli studenti che ottengono una valutazione non inferiore a sei decimi».


4. Il comma 3 dell’articolo 13 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, è abrogato.


5. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, si provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti, tenendo conto anche dei disturbi specifici di apprendimento e della disabilità degli alunni, e sono stabilite eventuali ulteriori modalità applicative del presente articolo.

Articolo 4.



(Insegnante unico nella scuola primaria)



1. Nell’ambito degli obiettivi di razionalizzazione di cui all’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti previsti dal comma 4 del medesimo articolo 64 è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche della scuola primaria costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola.

2. Con apposita sequenza contrattuale è definito il trattamento economico dovuto all’insegnante unico della scuola primaria, per le ore di insegnamento aggiuntive rispetto all’orario d’obbligo di insegnamento stabilito dalle vigenti disposizioni contrattuali.




2-bis. Per la realizzazione delle finalità previste dal presente articolo, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ferme restando le attribuzioni del comitato di cui all’articolo 64, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, provvede alla verifica degli specifici effetti finanziari determinati dall’applicazione del comma 1 del presente articolo, a decorrere dal 1º settembre 2009. A seguito della predetta verifica, per le finalità di cui alla sequenza contrattuale prevista dal comma 2 del presente articolo, si provvede, per l’anno 2009, ove occorra e in via transitoria, a valere sulle risorse del fondo d’istituto delle istituzioni scolastiche, da reintegrare con quota parte delle risorse rese disponibili ai sensi del comma 9 dell’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei limiti dei risparmi di spesa conseguenti all’applicazione del comma 1, resi disponibili per le finalità di cui al comma 2 del presente articolo, e in ogni caso senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.




2-ter. La disciplina prevista dai presente articolo entra in vigore a partire dall’anno scolastico 2009/2010, relativamente alle prime classi del ciclo scolastico.

Articolo 5.



(Adozione dei libri di testo)



1. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 15 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, i competenti organi scolastici adottano libri di testo in relazione ai quali l’editore si è impegnato a mantenere invariato il contenuto nel quinquennio, salvo che per la pubblicazione di eventuali appendici di aggiornamento da rendere separatamente disponibili. Salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze, l’adozione dei libri di testo avviene nella scuola primaria con cadenza quinquennale, a valere per il successivo quinquennio, e nella scuola secondaria di primo e secondo grado ogni sei anni, a valere per i successivi sei anni. Il dirigente scolastico vigila affinchè le delibere dei competenti organi scolastici concernenti l’adozione dei libri di testo siano assunte nel rispetto delle disposizioni vigenti.




Articolo 5-bis.




(Disposizioni in materia di graduatorie ad esaurimento)




1. Nei termini e con le modalità fissati nel provvedimento di aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento da disporre per il biennio 2009/2010, ai sensi dell’articolo 1, commi 605, lettera c), e 607, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, i docenti che hanno frequentato i corsi del IX ciclo presso le scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) o i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), attivati nell’anno accademico 2007/2008, e hanno conseguito il titolo abilitante sono iscritti, a domanda, nelle predette graduatorie, e sono collocati nella posizione spettante in base ai punteggi attribuiti ai titoli posseduti.




2. Analogamente sono iscritti, a domanda, nelle predette graduatorie e sono collocati nella posizione spettante in base ai punteggi attribuiti ai titoli posseduti i docenti che hanno frequentato il primo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A e hanno conseguito la relativa abilitazione.




3. Possono inoltre chiedere l’iscrizione con riserva nelle suddette graduatorie coloro che si sono iscritti nell’anno accademico 2007/2008 al corso di laurea in scienze della formazione primaria e ai corsi quadriennali di didattica della musica; la riserva è sciolta all’atto del conseguimento dell’abilitazione relativa al corso di laurea e ai corsi quadriennali sopra indicati e la collocazione in graduatoria è disposta sulla base dei punteggi attribuiti ai titoli posseduti.

Articolo 6.




(Valore abilitante della laurea in scienze della formazione primaria)



1. L’esame di laurea sostenuto a conclusione dei corsi in scienze della formazione primaria istituiti a norma dell’articolo 3, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, e successive modificazioni, comprensivo della valutazione delle attività di tirocinio previste dal relativo percorso formativo, ha valore di esame di Stato e abilita all’insegnamento nella scuola primaria o nella scuola dell’infanzia, a seconda dell’indirizzo prescelto.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche a coloro che hanno sostenuto l’esame di laurea conclusivo dei corsi in scienze della formazione primaria nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e la data di entrata in vigore del presente decreto.



Articolo 7.




(Modifica del comma 433 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, in materia di accesso alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia)

1. Il comma 433 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è sostituito dal seguente:




«433. Al concorso per l’accesso alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni, possono partecipare tutti i laureati in medicina e chirurgia. I laureati di cui al primo periodo, che superano il concorso ivi previsto, sono ammessi alle scuole di specializzazione a condizione che conseguano l’abilitazione per l’esercizio dell’attività professionale, ove non ancora posseduta, entro la data di inizio delle attività didattiche di dette scuole immediatamente successiva al concorso espletato».




Articolo 7-bis.




(Provvedimenti per la sicurezza delle scuole)




1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, formulato ai sensi dell’articolo 80, comma 21, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, è destinato un importo non inferiore al 5 per cento delle risorse stanziate per il programma delle infrastrutture strategiche in cui il piano stesso è ricompreso.




2. Al fine di consentire il completo utilizzo delle risorse già assegnate a sostegno delle iniziative in materia di edilizia scolastica, le economie, comunque maturate alla data di entrata in vigore del presente decreto e rivenienti dai finanziamenti attivati ai sensi dell’articolo 11 del decreto-legge 1º luglio 1986, n. 318, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 1986, n. 488, dall’articolo 1 della legge 23 dicembre 1991, n. 430 e dall’articolo 2, comma 4, della legge 8 agosto 1996, n. 431, nonché quelle relative a finanziamenti per i quali non sono state effettuate movimentazioni a decorrere dal 1º gennaio 2006, sono revocate. A tal fine le stazioni appaltanti provvedono a rescindere, ai sensi dell’articolo 134 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, i contratti stipulati, quantificano le economie e ne danno comunicazione alla regione territorialmente competente.




3. La revoca di cui al comma 2 è disposta con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le regioni territorialmente competenti, e le relative somme sono riassegnate, con le stesse modalità, per l’attivazione di opere di messa in sicurezza delle strutture scolastiche, finalizzate alla mitigazione del rischio sismico, da realizzare in attuazione del patto per la sicurezza delle scuole sottoscritto il 20 dicembre 2007 dal Ministro della pubblica istruzione e dai rappresentanti delle regioni e degli enti locali, ai sensi dell’articolo 1, comma 625, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. L’eventuale riassegnazione delle risorse a regione diversa è disposta sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni.




4. Nell’attuazione degli interventi disposti ai sensi dei commi 2 e 3 del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, le prescrizioni di cui all’articolo 4, commi 5, 7 e 9, della legge 11 gennaio 1996, n. 23; i relativi finanziamenti possono, comunque, essere nuovamente revocati e riassegnati, con le medesime modalità, qualora i lavori programmati non siano avviati entro due anni dall’assegnazione ovvero gli enti beneficiari dichiarino l’impossibilità di eseguire le opere.




5. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nomina un soggetto attuatore che definisce gli interventi da effettuare per assicurare l’immediata messa in sicurezza di almeno cento edifici scolastici presenti sul territorio nazionale che presentano aspetti di particolare criticità sotto il profilo della sicurezza sismica. Il soggetto attuatore e la localizzazione degli edifici interessati sono individuati d’intesa con la predetta Conferenza unificata.




6. Al fine di assicurare l’integrazione e l’ottimizzazione dei finanziamenti destinati alla sicurezza sismica delle scuole, il soggetto attuatore, di cui al comma 5, definisce il cronoprogramma dei lavori sulla base delle risorse disponibili, d’intesa con il Dipartimento della protezione civile, sentita la predetta Conferenza unificata.




7. All’attuazione dei commi da 2 a 6 si provvede con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro competente, previa verifica dell’assenza di effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica.

Articolo 8.



(Norme finali)

1. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.






1-bis. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

2. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.




Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Per il maestro unico

Per il maestro unico

Diffondiamo questa petizione

mercoledì 15 ottobre 2008

Classi di inserimento

Dal Sito dell'On. Antonio Palmieri:

Classi separate per i bimbi stranieri? No davvero…

Ieri abbiamo votato in aula la mozione relativa all’accesso degli studenti stranieri alla scuola dell’obbligo. E’ stato un dibattito convulso, teso, impegnativo.
Purtroppo negli interventi della sinistra si è scelta la strada più facile: accusarci di essere razzisti, di voler segregare i bambini immigrati, di non volere l’integrazione degli stranieri in Italia.
E oggi molti giornali accreditano questa tesi, con titoli tipo quello del Corriere della sera: “Sì alle classi separate per stranieri”.

Partiamo dalla realtà. La situazione nelle scuole italiane è questa. Nel corso di tutto l’anno scolastico vengono inseriti nelle classi bambini stranieri che non sanno una parola di italiano. Poichè essi provengono da Paesi molto diversi tra loro, ciò crea una vera babele di linguaggi. La classe si blocca perchè è evidente che non solo l’insegnamento ma anche l’ordine in classe e la condivisione dei basilari principi di educazione sono resi impossibili dal fatto che buona parte della classe non è in grado di capire la lingua.
Il risultato è che nè i bambini stranieri, nè quelli italiani nè i bimbi stranieri che già conoscono la lingua imparano qualcosa.

Poichè non è pensabile avere per ogni singola classe insegnanti capaci di fare mediazione culturale parlando anche le lingue madri dei bimbi stranieri (per ogni classe dovremmo avere un insegnante che sa il cinese, uno che sa l’arabo, uno l’indiano, uno il pakistano, ecc.) la nostra mozione - che è dell’intera maggioranza, non solo della Lega - propone di cambiare rotta, in questo modo:
a) allestendo classi di inserimento, dove insegnare l’italiano ai bimbi stranieri che non lo sanno ancora assieme agli insegnamenti utili all’educazione alla legalità e alla cittadinanza.
b) non consentendo ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, per un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole
c) prevedendo una distribuzione degli studenti stranieri proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri.

SI tratta di misure di buon senso. E’ lasciare le cose come stanno che produce ignoranza, separatezza e “disintegrazione” invece di integrazione vera.

lunedì 13 ottobre 2008

Ancora sulla Riforma Gelmini

Riporto un interessante intervento in aula dell'On. Stracquadanio (mi scuso sempre per la lunghezza, ma la riforma della scuola non è un argomento facile, risolvibile in quattro slogan come stanno tentando di farci credere a sinistra):


Mentre siamo qui nell'Aula del Parlamento a discutere di scuola e del modo di renderla migliore e più adeguata alle esigenze di una nazione competitiva (che, se vuole competere, deve avere innanzitutto una buona scuola), fuori di qui, in un teatro, il leader di un pezzo dell'opposizione (e devo dire, grazie a Dio, di un pezzo soltanto, anche se quello prevalente) sta tenendo una manifestazione e sta usando argomenti per lo più demagogici, come li abbiamo sentiti in Aula, ma si guarda bene dal venire a confrontarsi nell'Aula del Parlamento dopo avere lamentato la mancanza di questo confronto. Forse perché, nell'Aula del Parlamento, signor Presidente, è difficile ripetere senza essere smentiti alcune bugie che si possono dire ai giornali, come quella del Ministro giunto a Cernobbio in elicottero, additandola così come un esempio di comportamento moralmente riprovevole, perché un Ministro non giunge a un seminario internazionale in elicottero. Si è poi scoperto che un infortunio giornalistico, subito corretto, aveva detto che il Ministro era giunto in elicottero, quando il Ministro era giunto con i suoi mezzi personali, in auto; però, si continuano a ripetere nei confronti del Ministro dell'istruzione menzogne di questo tipo.

Come è possibile confrontarsi seriamente sulla scuola, quando l'atteggiamento del leader di un partito che si dice riformista, e che riformista non è, è quello che ho appena descritto? Grazie a Dio, in questo Parlamento non abbiamo solo questo tipo di posizioni: abbiamo sentito prima dalle parole della collega dell'Udc tutt'altro taglio e tutt'altra impostazione nei confronti dei problemi della scuola.

Non sarei intervenuto in questo dibattito sulla scuola, se non avessi sentito in Aula da stamani una montagna di aria fritta, fatta di cattiva sociologia, cattiva pedagogia, cattiva propaganda e cattiva politica; una montagna di argomenti che hanno al centro soltanto un'idea: «Nulla dev'essere cambiato, perché la scuola, così com'è, è la scuola che noi abbiamo costruito e che riteniamo di dover difendere come tale».
Anche il collega che mi ha preceduto si è lamentato del fatto che il Ministro non difendesse l'esistente, come se questo esistente potesse essere accettabile!

Tutti hanno parlato dei dati dell'OCSE, ma vogliamo discutere un minimo di dati comprensibili a tutti senza esprimerci genericamente e in un modo, per così dire, da esperti di dati? Parliamo di qualche numero. Abbiamo il 17 per cento di laureati tra i venticinque e i trentaquattro anni contro il 33 per cento dei venticinque Paesi più industrializzati (siamo sotto il livello del Cile e del Messico); i nostri diplomati sono il 15 per cento in meno della Grecia e il 5 per cento in meno della Slovenia; i nostri giovani di quindici e sedici anni hanno il più basso livello di preparazione in tutta Europa in materie scientifiche, in matematica e nelle lingue straniere.

Per misurare di che si tratta, dobbiamo parlare di questi test spiegandoli. Lei sa, signora Presidente, che il 60 per cento degli studenti ignora perché si susseguono il giorno e la notte? Posti di fronte a quattro risposte in un test sul perché notte e giorno si susseguono (e la risposta è semplice, ossia perché la Terra ruota intorno al suo asse), essi danno nel 66 per cento dei casi una risposta sbagliata! E questa sarebbe la scuola che noi dovremmo difendere? Ma lei lo sa che il 30 per cento degli studenti del liceo è in difficoltà nel risolvere questo problema: il tasso di cambio tra il dollaro di Singapore e il rand del Sudafrica è di 1 a 4,2; quanti rand valgono 3.000 dollari di Singapore? Ebbene, la risposta sta in una moltiplicazione: 3.000 per 4,2 uguale a 12.600. Il 30 per cento dei liceali non sa risolvere questo problema elementare! E questa sarebbe la scuola che noi vogliamo e dobbiamo difendere? Questa scuola sta alla base della perdita di competizione del nostro Paese. Vogliamo andare avanti?

Si è detto che la scuola elementare è la migliore nelle classifiche, ma anche su questo ho qualche osservazione da fare. Nella scuola elementare di un tempo - ed era molto migliore di quella attuale - si insegnavano cose semplici, per esempio le quattro operazioni e le tabelline. Oggi si insegna invece l'insiemistica, con il risultato che abbiamo reso relativo quello che invece è assoluto e certo, e cioè il numero, ed abbiamo trasformato i numeri in opinioni invece di rafforzare il senso e il valore simbolico di precisione del numero. Si insegnava a scrivere in un modo comprensibile e non si diceva invece, come si dice oggi, che la calligrafia comprime la personalità; si insegnava la geografia, si insegnavano i mari, le terre emerse, i fiumi, i laghi e le montagne; si insegnava la morfologia di un territorio. E invece adesso si insegnano il sopra e il sotto, il dietro e il davanti, e tutti questi, signora Presidente, vengono chiamati indicatori topologici della spazialità. Dietro questo linguaggio incomprensibile, sociologistico, pedagogistico si nasconde il grande vuoto anche, ahimè, della scuola elementare nella quale un tempo si insegnava che la storia è innanzitutto una successione cronologica di eventi e non si diceva ciò che ha detto un'insegnante in una lettera inviata a Il Messaggero, e cioè che lei si rifiuta di insegnare i «fatterelli» della scuola mentre invece vuole insegnare le cause che stanno alla base degli eventi storici, come se si potessero comprendere le cause di qualcosa senza conoscere il «qualcosa» medesimo!

Questa, signora Presidente, è la scuola di cui parliamo e che abbiamo davanti. In quest'Aula ho sentito tante argomentazioni, ma non ne ho sentite alcune elementari e semplici, così come non ho sentito porre alcune domande: quali compiti dovrebbe assumere la scuola in una società moderna - ma in una qualunque società - che voglia dirsi tale? Probabilmente dovrebbe insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto inizialmente. Dovrebbe formare buoni cittadini. Dovrebbe dare opportunità di successo sociale a tutti, al figlio dell'operaio come al figlio del professionista, garantendo quelle eguali opportunità tali da creare quella mobilità sociale che è al cuore di una società democratica e che dovrebbe stare ancora più a cuore alla sinistra. Mentre, invece, una scuola che non svolga questi compiti, che non formi buoni cittadini, che non insegni a leggere, a scrivere e a far di conto, che non dia, appunto, opportunità a tutti, sarà una scuola che creerà discriminazioni e ingiustizie. Sarà una scuola che consoliderà le differenze sociali, perché il figlio del professionista, dell'avvocato o del medico, avrà altro da poter godere per la sua formazione di diverso e di meglio della scuola che gli dà la società, mentre gli altri si dovranno accontentare di quel poco che gli dà la scuola. Non è un caso che l'Italia tra i Paesi occidentali è quello che ha la più bassa mobilità sociale e che più consolida le differenze di partenza anche nel percorso successivo dei giovani, e ciò proprio perché la scuola è stata degradata a qualcosa di diverso.
La scuola cosa dovrebbe mettere al centro, colleghi? Dovrebbe mettere al centro gli studenti, gli scolari: tutto il resto dovrebbe ruotare intorno all'obiettivo di fornire loro opportunità e conoscenze. Non dovrebbe mettere al centro gli insegnanti, perché come gli ospedali mettono al centro i malati e la loro salute e tutti coloro i quali lavorano hanno come prima missione quella di garantire la salute dei pazienti, la prima missione di chi lavora nella scuola dovrebbe essere quella di assicurare opportunità, insegnamento, conoscenze e cultura. La scuola, invece, ed è risuonato nelle parole dei nostri colleghi, è innanzitutto il luogo di lavoro degli insegnanti. La sinistra, che è sinistra sindacale, prima ancora di essere sinistra politica, e che comunque non è mai riformista, difende con essi un blocco sociale di riferimento e un blocco culturale che si è creato negli anni.

Una buona scuola influisce direttamente sullo sviluppo di una nazione. L'Italia, che non ha materie prime, non può pensare di competere nel mondo senza avere persone preparate, tecnici competenti, professionalità diffuse. La via maestra che abbiamo per restare nei primi posti della competizione internazionale è nella nostra capacità tecnologica, nel nostro capitale umano. Fino agli anni Sessanta, l'Italia aveva la leadership di una serie di importantissimi settori tecnologici. Eravamo in testa nella chimica, in cui avevamo espresso il premio Nobel con Giulio Natta, nell'elettronica, nel nucleare, nella ricerca farmaceutica. Avevamo ovunque industrie di eccellenza, avevamo una classe di laureati, di tecnici e di diplomati di altissimo livello, che il mondo ci invidiava.

Poi sono venuti il Sessantotto, gli errori di politica industriale e una cultura anti-industriale, pauperistica e falsamente egualitaria, che ha distrutto la scuola e che ha trasformato quello che era il principale asse culturale del nostro Paese, il merito, in qualcosa che andava cancellato e dimenticato. Per troppi anni si è parlato di diritto allo studio, confondendo l'opportunità di studiare per acquisire professionalità e per accrescere la propria voglia di fare, con il diritto a ricevere automaticamente, dopo un certo numero di anni, un titolo di studio. Così quello che era un diploma ambito, perché dava professionalità e opportunità di mobilità sociale, è diventato un pezzo di carta, un'illusione che spesso si è tradotta nel suo opposto: nella frustrazione delle possibilità offerte da un'accresciuta scolarizzazione.

Una frustrazione che ha colpito, innanzitutto, i ceti meno agiati del nostro Paese, perché i ceti più agiati hanno potuto procurarsi conoscenza, apprendimento e professionalità attraverso altri canali, andando all'estero, e non dovendosi accontentare di quello che gli dava la scuola italiana. Se oggi tanti giovani laureati lavorano nei call center, dove è richiesta una professionalità non di altissimo livello, non è colpa del mercato del lavoro, ma è, probabilmente, responsabilità di una scuola che non forma.

È sbagliato il sistema formativo, non è sbagliato il mercato del lavoro, e la laurea vale più di un diploma. Il Sessantotto è al centro delle responsabilità: non è un fatto ideologico, è un fatto storico, signora Presidente: ha inventato alcune cose che sono state alla base della distorsione del nostro modello formativo. Ha inventato il voto politico, che è la negazione stessa del voto; ha inventato la lotta alla selezione, che ha portato alla cancellazione del merito e all'idea che la promozione sia un automatismo, quasi fosse un diritto di anzianità scolastica; ha portato l'esame di gruppo e l'idea che non vi sia selezione individuale, cancellando così ogni possibilità di valutazione della crescita e dell'acquisizione delle conoscenze; ha portato, appunto, al diritto di studio, che è diventato diploma, senza preparazione, per tutti, cioè nulla e illusione collettiva; inoltre, ha portato studenti che giudicano gli insegnanti, in modo tale che l'insegnante migliore non è quello che dà il migliore degli insegnamenti e che è più esigente nelle sue richieste, ma quello che concede la promozione senza nulla chiedere in cambio e senza fare fatica (vocabolo che è stato cancellato dalle nostre scuole e che è cancellato dagli interventi dell'opposizione, sedicente riformista, ma assolutamente reazionaria e conservatrice, del Partito Democratico).

Con queste brillanti idee che, come abbiamo ascoltato oggi nell'aula del Parlamento, non sono state abbandonate dalla sinistra, l'università è diventata un liceo, e non dei migliori, il liceo è diventato una scuola media, e non delle migliori, la scuola media è diventata una scuola elementare, e non delle migliori. Così abbiamo i risultati dell'OCSE, quelli che abbiamo citato prima.

E cosa si dice però da parte dell'opposizione del Partito Democratico? Si dice che tutto ciò è dovuto al fatto che nella scuola italiana si spende meno e questo Governo intende tagliare. Forse dovremmo intenderci sui numeri e sulla dimensione economica della scuola in Italia. Ho qui qualche appunto che può essere interessante esaminare (raccolgo le mie carte, signor Presidente, perché non voglio fornire dati errati). Spendiamo poco per la nostra istruzione? Il confronto con i Paesi OCSE ci dice che non è vero che noi oggi spendiamo poco. Se facciamo il raffronto tra spesa scolastica e prodotto interno lordo, spendiamo il 3,5 per cento del nostro PIL, come la Germania, leggermente meno della Francia e della Gran Bretagna, nella media perfetta dei 25 Paesi più industrializzati dell'OCSE. Se confrontiamo il rapporto tra spesa per l'insegnamento, per la scuola, per l'istruzione e spesa pubblica totale, vediamo che anche in questo caso l'Italia sta nella media: spendiamo un po' più della Germania e spendiamo come la Francia. Vi è però un confronto, quello vero, che andrebbe fatto e che nessuno in quest'Aula ha ancora fatto, da parte dell'opposizione: la spesa normalizzata per studente, perché è quella che dà la vera misura di quanto un Paese spende, rispetto alla funzione che deve svolgere, in questo caso quanto è l'investimento che l'Italia fa nei confronti di ciascuno studente che frequenta la scuola. Noi spendiamo 5.710 euro a studente, molto più della media OCSE, che è di 4.623 euro, e spendiamo circa 1.000 euro in più della Germania e della Gran Germania e 500 euro in più per studente della Francia, per ottenere i risultati che abbiamo descritto prima, i risultati di un disastro e di un fallimento educativo, fatto di quel pedagogismo e di quel sociologismo di cui abbiamo sentito l'eco per tutta la giornata di oggi, da parte del Partito Democratico, nell'aula del Parlamento.

Allora, forse, dovremmo proseguire con qualche numero: il bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è oggi di circa 42 miliardi e mezzo di euro; nel 1999 spendevamo 32 miliardi: in meno di dieci anni la spesa è cresciuta di 10 miliardi di euro, ben 20 mila miliardi delle vecchie lire, cioè il 30 per cento in più, senza che ciò abbia portato ad alcun miglioramento, anzi abbiamo peggiorato i nostri standard, secondo tutte le statistiche e le valutazioni internazionali e nazionali e la valutazione del buonsenso che ciascuna famiglia fa rispetto alla propria scuola.

Non siamo soltanto noi e i numeri a dirlo, lo ha fatto anche lo scorso Governo in sede di Commissione tecnica per la spesa pubblica. Nel rapporto della Commissione cosiddetta Muraro, istituita per iniziativa del Ministro Tommaso Padoa Schioppa, si afferma che la spesa per studenti in Italia è tra le maggiori dell'OCSE e il rapporto tra insegnanti e studenti è molto più alto che altrove; eppure, i risultati misurati nei test di apprendimento utilizzati a livello internazionale sono modesti. Questa è la realtà della scuola italiana.

Si dice che il Governo abbia in previsione tagli per 8 miliardi e la riduzione di 120 mila posti di lavoro. Possiamo illustrare la situazione generale? Intanto possiamo dire che abbiamo troppi insegnanti e abbiamo degli stipendi per gli insegnanti assolutamente inaccettabili: 30 mila euro l'anno di media contro i 38 mila della media OCSE e i quasi 50 mila euro della Germania. Ciò avviene perché l'Italia ha un insegnante ogni 9 alunni, mentre la media europea è di 12 e alcuni Paesi viaggiano su una media di 14 o 16. Inoltre, come è stato ricordato già da alcuni colleghi, molti insegnanti lavorano meno di altri: 735 ore, contro le 812 della media OCSE. Allora noi non spendiamo poco: spendiamo molto male. In dieci anni si è registrato un incremento del 30 per cento delle spese e il 97 per cento della spesa è destinata agli stipendi, contro l'81 per cento di media dei Paesi OCSE. Per investire nella scuola a noi resta il 3 per cento, laddove gli altri hanno a disposizione il 20 per cento in più.

Siamo stati solo noi del Governo di centrodestra, signora Presidente, ad affermare tutto questo? Nel 1998 il Governo D'Alema aveva previsto per allora una riduzione del personale del 4 per cento in tre anni. Ebbene, nonostante quella previsione, la cattiva politica di quel Governo che ha mancato i suoi obiettivi ha portato alla crescita del personale del Ministero dell'istruzione di quasi il 6 per cento, mentre intanto calava il numero degli studenti: via via che calava il numero degli studenti cresceva il numero degli insegnanti, secondo una logica totalmente irrazionale rispetto agli obiettivi della scuola e totalmente guidata dalla necessità di fare della scuola il più grande ammortizzatore sociale e il più grande centro di reclutamento clientelare e dispensatore di illusioni nei confronti delle giovani generazioni e di quei laureati (pochi e male) che la media OCSE denuncia.

Sempre in quegli anni si sarebbe dovuto verificare il passaggio allo Stato di 72 mila unità appartenenti al personale amministrativo e tecnico degli enti locali. Lo Stato ne ha assunti 132 mila invece che 72 mila, 60 mila in più, garantendo gli stessi servizi o forse anche meno. Ciò è tanto vero che nel 1998 era stata prevista (proprio per la riduzione del personale ausiliario) la possibilità di affidare alcuni servizi agli appalti esterni: i servizi sono affidati agli appalti esterni e abbiamo più personale tecnico e ausiliario all'interno della scuola, un'ulteriore contraddizione in base alla quale, ad esempio, nel libro di Gian Antonio Stella, La deriva, è stato scritto che esiste una nuova figura professionale in Italia, quella delle «scodellatrici» che appositamente vengono reclutate per scodellare la pasta alla mensa scolastica, perché non è compito del personale ausiliario servire la pasta ai bambini.

In questo contesto, signora Presidente, dire che noi facciamo macelleria sociale, che distruggiamo la scuola, che compromettiamo il futuro del Paese solo perché prevediamo nei prossimi tre anni che questo disastro venga riorganizzato in maniera che si passi da un milione 300 mila dipendenti della scuola pubblica a un milione 200 mila per poter essere adeguati alla richiesta di formazione del Paese, per poter corrispondere migliori retribuzioni e per riservare una parte della spesa a favore degli investimenti, credo che sia irresponsabilità demagogica.

Si tratta della stessa irresponsabilità che ha portato, appunto, in questi dieci anni all'esplosione della spesa pubblica nella scuola, senza che a questo abbia corrisposto di un centesimo il miglioramento della qualità, anzi si è vista la qualità della nostra scuola costantemente declinare e degradarsi.

Ma veniamo al punto che è stato scelto come una bandiera ideologica dall'opposizione del Partito Democratico: quello che è stato chiamato il maestro unico. Mi permetto, qui, di dare un suggerimento al Ministro e al sottosegretario: non parliamo di ritorno del maestro unico, parliamo di ritorno del maestro, perché la scelta del modulo - che non è il maestro - è la fine della figura professionale e civile del maestro stesso. Il Partito Democratico e il suo leader si riempiono la bocca dell'insegnamento di Don Milani e dimenticano che Don Milani non era un modulo, ma era un maestro, e che forse il maestro è quello che è più in grado di formare personalità che crescono, ma per una ragione molto banale: è inutile invocare la complessità dei saperi, lo sviluppo delle conoscenze, quando non siamo in grado di insegnare ai nostri studenti che un problema di cambio si risolve con una moltiplicazione.

Queste sono parole vuote, questo è pedagogismo d'accatto. Noi dobbiamo dare ai bambini un maestro, perché il maestro si occupa complessivamente della formazione del bambino e non della sua disciplina; perché il maestro ha la responsabilità piena della sua classe; e perché, se fosse vera la tesi secondo cui maggiore è il numero degli insegnanti, maggiore è la qualità della scuola, la nostra scuola superiore dovrebbe essere al vertice delle classifiche mondiali (vista la quantità di docenti che c'è al liceo) e invece è in fondo a queste classifiche. Infatti, si fanno ragionamenti assolutamente strampalati sul ruolo dei docenti, ben sapendo (e lo hanno scritto tutti) che quando si scelse di passare dal maestro al modulo - che non è il maestro, perché è un'altra cosa - lo si scelse perché la natalità era calata, il numero degli scolari era diminuito e se si fosse proceduto secondo un razionale disegno, in cui un servizio deve venire erogato in base a quanto esso viene richiesto, si sarebbe dovuto procedere a convertire del personale, che allora insegnava, in qualcos'altro, e dire che l'Italia aveva bisogno di un numero minore di insegnanti, di maestri, di quanti ne aveva.

Invece, si è escogitato il trucco del modulo e lo si è ammantato di motivi pedagogici e di argomenti assolutamente inconsistenti, che fanno parte della retorica in cui la scuola italiana è stata mandata al disastro e per la quale un giornalista di sinistra come Floris, il conduttore di Ballarò, l'ha definita, senza tema di smentite, «la fabbrica degli ignoranti».

Ora, signora Presidente, perché il Governo e la maggioranza hanno agito con un decreto-legge? Questo è stato un tema richiamato. Perché molti di questi provvedimenti che sono contenuti nel decreto-legge dovevano essere operativi dal primo giorno di scuola, ed è noto che la scuola inizia a settembre. Settembre è finito, e noi stiamo discutendo adesso di questo decreto-legge. Se avessimo indugiato, se il Governo avesse indugiato e non avesse presentato un decreto-legge, avrebbe probabilmente fallito nei suoi obiettivi di cambiamento e nella necessità di cambiare il passo nei confronti della scuola.

Si dice che si sarebbe potuto evitare di introdurre qui il ritorno della figura del maestro, perché questo entrerà in vigore soltanto il prossimo anno. Signora Presidente, il Parlamento della Repubblica ha approvato una manovra di politica economica che non ha solo il senso - come dicono i colleghi del Partito Democratico - di tagliare, ma ha il senso di riportare in bonis il bilancio della Repubblica italiana e di blindare i conti pubblici, perché l'economia italiana non vada precipitosamente verso il disastro, del quale pagherebbero le più alte conseguenze i ceti popolari, e non certo i ceti benestanti.

Riportare in bilancio in bonis, vuol dire anche riportare il bilancio della scuola in bonis, facendo sì che si possa offrire il miglior servizio al minor costo, cercando, per esempio, anche di attivare quella scuola paritaria che ha dato prova, in questi anni, di costare meno al contribuente e di dare migliori risultati al Paese. Ovvero, cercando di riattivare un circuito virtuoso per il quale l'insegnante deve essere persona degna di rispetto e di considerazione e non deve finire sottoproletarizzato, così come venti anni di cattiva politica hanno fatto, con uno stipendio indecente e chiedendogli però, a fronte, una professionalità adeguata. Riportare la scuola in bonis vuol dire innanzitutto ridarle un senso e una missione, la missione che aveva smarrito e che questi provvedimenti possono finalmente restituirle.

Ci saremmo attesi dal Partito Democratico parole di questo tipo, visto quello che doveva essere lo slancio riformista annunciato al Lingotto. Ci saremmo attesi parole del tipo: «Per avere un'Italia migliore abbiamo bisogno di una scuola migliore; le condizioni del nostro sistema scolastico richiedono scelte coraggiose di rinnovamento e non sono sostenibili posizioni di pura difesa dell'esistente; l'Italia deve ridurre a zero il suo deficit e nessuna parte sociale e politica può ridurre questo imperativo e questo comporta anche un contenimento delle spese della scuola». Questo ci saremmo attesi dal leader del Partito Democratico che voleva essere riformista. Grazie a Dio queste parole sono venute oggi dal Capo dello Stato, che ha reso onore alla sua storia di riformista e alla Repubblica mentre nel teatro Capranica si rende omaggio soltanto alla cattiva demagogia e alla cattiva politica che hanno distrutto il Paese.



On. Giorgio Stracquadanio

sabato 4 ottobre 2008

Un professore sul decreto Gelmini

Il mio amico Angelo Scalese mi ha inviato questa bella lettera, vale la pena di leggerla fino in fondo.


La Gelmini é partita con il piede giusto e sta facendo davvero un buon lavoro.

L' introduzione dell' educazione civica, il maestro unico, il voto in condotta, la sostituzione dei giudizi con i voti, sono tutti provvedimenti che da insegnante ho sempre sognato ed ora che sono andato in pensione me li vedo arrivare a tempo scaduto. Non importa, sono contento lo stesso perché ne trarranno vantaggio i miei colleghi e soprattutto gli allievi che finalmente potranno frequentare una scuola un po’ più seria. Chi non vive nella scuola non può capire quanto siano necessari questi provvedimenti.

Partiamo dal maestro unico.

Dicono che si vuole distruggere una scuola elementare che funziona a meraviglia.

Citano i dati OCSE che collocherebbe la scuola elementare italiana ai primi posti nel mondo. I dati OCSE dicono che i ragazzi di 15 anni sono agli ultimi posti nella classifica mondiale in quelle abilità come la lettura che si apprende alle elementari. Il deficit in matematica e scienze viene attribuito alla sperequazione tra discipline umanistiche e scientifiche. Purtroppo i nostri ragazzi non eccellono né nelle materie umanistiche né in quelle scientifiche.

All' inizio di ogni anno scolastico ho sempre fatto la prova di lettura ai ragazzi di prima media. Poco meno di metà classe non sapeva leggere. Dopo cinque anni di scuola elementare buona parte degli alunni non sa fare le divisioni a una cifra, non riconosce le più semplici figure geometriche piane e non sa le tabelline.

Lo scorso anno ho provato a chiedere agli alunni di seconda media: dove si trova Pordenone? Qualcuno ha risposto: “in Calabria”. Allora mi sono spinto oltre ed ho chiesto: "in provincia di Cosenza o di Catanzaro?". Metà classe ha risposto Cosenza e l' altra metà Catanzaro. Andando avanti nell' indagine ho scoperto che il frumento costa di più del grano e che il granoturco è diverso dal mais perché ha i semi più piccoli. Il dato preoccupante di questa inchiesta domestica è che i ragazzi si sono giustificati dicendo che quelle cose non le avevano mai studiate. E’ possibile che in cinque anni di scuola non ci sia il tempo per imparare quelle nozioni di base che evitano ai ragazzi di sentirsi dei somari? Chi è impegnato a decifrare i fonemi durante la lettura, non riesce a cogliere il senso di quello che legge. E’ più importante saper leggere bene o imparare a fare i pupazzi con la pasta di sale e a dipingere, con la tecnica dell’ imbianchino, enormi tabelloni che richiedono ore ed ore di lavoro? Quando dalle elementari arrivano ragazzi in queste condizioni, c'è poco da fare. Il loro destino scolastico è già compromesso. Dopo il triennio delle medie avranno imparato a leggere e sapranno fare le divisioni, ma raramente sapranno applicare le proporzioni nei problemi o sapranno applicare il teorema di Pitagora all'esame di terza media. Dopo anni di studio della lingua inglese, solo due o tre alunni per classe riuscivano a rispondere alle semplici domande dell' insegnante di lingue durante esami orali ai quali ho assistito nella mia lunga carriera di insegnante. E le mie non erano scuole del sud!

Se si vanno a leggere i programmi delle elementari c'è da rimanere stupiti. Un maestro dell' area scientifico-matematica, nel suo programma aveva inserito il calcolo statistico, lo studio di funzioni e i linguaggi di programmazione. Una cosa impressionante, neanche fossero all’ università.

La domanda che mi pongo, però, è questa: chi ci garantisce che il maestro unico funzioni meglio dei tre insegnanti su due classi? E poi, sapranno i maestri di adesso essere bravi come quelli di una volta?

Io ritengo di si. Il maestro di una volta faceva solo le magistrali mentre quelli di adesso sono tutti laureati nelle discipline che formano non solo l’ insegnante, ma che ne fanno anche un ricercatore nel campo della didattica (Il maestro non studiava Chomsky e la grammatica generativo-trasformazionale). Bisogna dire poi che i contenuti delle scuole elementari non sono così impegnativi da creare delle difficoltà a chi deve insegnarli. Diverso è il discorso per le medie e per le superiori. Un docente che ha studiato 30 anni fa la teoria atomica di Plank e di Bohr avrà la necessità di conoscere come si è evoluta la teoria della cromodinamica quantistica. Oggi la ricerca ha fatto progressi notevoli in moltissime discipline, sono nate nuove discipline come le biotecnologie e le nanotecnologie e tutto questo richiede un aggiornamento dei docenti proprio sui contenuti. Gli aggiornamenti proposti a scuola, invece, spaziano dal corso sulla sicurezza a quello sul pronto intervento a quello sulla privacy! C’è da mettersi le mani nei capelli. Assodato che il maestro unico è in grado di insegnare tutto, perché non deve valere il detto: “three is meglio che one” ?

Perché uno costa meno? Anche! Perché scandalizzarsi del fatto che si risparmino i quattrini del contribuente e si utilizzino magari per rendere più decorose le scuole in cui andiamo ad insegnare? Ma non è il solo buon motivo! Nella maggior parte dei casi le maestre vanno d’ accordo e spendono non poche ore per fare la programmazione, ma non sono isolati i casi in cui le maestre non si trovano d’ accordo su come lavorare insieme e allora son dolori. A volte la diatriba sfocia in una guerra all’ ultimo sangue con seguito di dispetti reciproci, i genitori che si schierano con l’una o l’altra fazione e chi ci rimette? quel povero Cristo di bambino che si trova a vivere in un clima che gli rende angoscioso l’ andare a scuola. Quando invece regna l’ armonia, allora si esagera nelle cortesie e si tende a strafare per dimostrare di essere gli insegnanti più bravi del mondo, oppure si continua in classe quella programmazione che nelle ore previste non è stata esaurita perché le ore non bastano mai, anche se non riesco proprio a capire come si fa ad occupare ben due ore settimanali per la programmazione! Un altro motivo per cui uno è meglio di tre è dovuto alle simpatie che l’ alunno prova per l’una o l’ altra insegnante. Se l’ insegnante di matematica è simpatica all’ allievo sarà simpatica anche la disciplina e viceversa. Si potrà eccepire che se l’ insegnante è antipatico il bimbo andrà male sia nell’ una che nell’ altra, ma non è così. Quando un alunno va male in una disciplina e va bene nell’ altra, il genitore ha la prova provata che la colpa è della maestra cattiva perché con l’altra il figlio va bene e questa è la rovina. Con il maestro unico se l’ alunno va male in qualsiasi materia, il genitore lo mette sotto e lo fa studiare di più. Sia ben chiaro che con il maestro unico, muore il modello scolastico che Bertagna ha inserito nella riforma Moratti.

Cosa dice Bertagna in sintesi? Dice che lo studio per materie porta al contenutismo fine a se stesso. Dice che l’ apprendere è bello e tutti gli uomini lo vogliono sperimentare ( non so perché ma mi ricorda tanto Padoa Schioppa quando diceva che pagare le tasse è bello). Ci farei una scommessa, ma sono sicuro che Bertagna non è mai entrato in una classe ad insegnare altrimenti non direbbe queste cose. Dice anche che quando si insegna una disciplina in realtà se ne insegnano molte altre e che bisogna avere la coscienza di ciò che si trasmette all’ allievo. Nel processo di apprendimento non è in gioco soltanto il si insegna (il sapere), né soltanto il ma conta altrettanto il . Egli distingue le conoscenze dalle abilità e dalle competenze. La riforma Moratti, che è permeata da questi contenuti, ha mandato in soffitta i vecchi programmi calati dall’ alto ed ha introdotto le più macchinose “unità di apprendimento”. Ogni allievo ha diritto ad un piano di studi personalizzato. I genitori, insieme ai docenti, programmano e concordano tale percorso. Se l’ allievo ha acquisito, anche fuori dalla scuola, delle competenze (certificate da chi, dal genitore?), queste devono essere allegate al “portfolio delle competenze”. Questa è la riforma Moratti. E’ demagogico dire che un allievo ha diritto ad un percorso didattico personalizzato in una classe con 27 alunni? Per carità! E’ una bestemmia!

Questa è stata la mazzata finale data addosso ad un docente sempre più in crisi, sempre più incapace di stare in classe e di trovare motivazioni per fare un lavoro delicatissimo e fondamentale per lo sviluppo di un Paese. Per certificare le competenze, vale a dire per dimostrare che le conoscenze e le abilità apprese vengono utilizzate dall’ allievo in un contesto applicativo, è necessaria l’ attività laboratoriale. Questi ultimi anni sono stati tremendi per i docenti. Come si fa a certificare le competenze se non si fanno le attività laboratoriali? Si inventa! Si sono fatte le sedute psichiatriche per realizzare le “unità di apprendimento”. Ogni insegnante ci metteva quello che aveva capito della riforma. Risultato? Si cercava di scopiazzare dai modelli che pubblicavano le varie riviste, ma il risultato di tutta questa confusione quale è stato? La scuola italiana è balzata ai primi posti nella classifica mondiale? Neanche per sogno. Se non siamo peggiorati, siamo rimasti li.





Cosa dicevo sulla riforma Moratti?


La colpa non è dei Ministri che di volta in volta si accingono a riformare la scuola se non si riesce mai a capire il senso che hanno i cambiamenti che ci propongono, (pensiamo al progetto Berlinguer che prevedeva contemporaneamente l’ iscrizione alla prima superiore delle seconde e delle terze medie con un fantasioso meccanismo di estrazione a sorte sostitutivo della promozione), ma nel significato equivoco che assume la parola “riforma”. Anzi è il prefisso “ri” che è poco serio rispetto a molti altri che svolgono un ruolo ben preciso ed inequivocabile. Se infatti viene anteposto alla parola nascere assume il significato (metaforico) di nascere una seconda volta. Basta porlo davanti a muovere che assume ben altra funzione. Se pensiamo a cosa combina davanti a gettare e ferire ci accorgiamo che è un prefisso di cui non ci si può fidare. Limite del linguaggio, dove Wittgenstein si è arreso e dove Aristotele è naufragato tra anfibolie e paralogismi, che assolve ogni Ministro dal dover compiere qualcosa di sensato nel mettere mano alle questioni che riguardano la scuola.

Eppure questa sembrava la volta buona. Finalmente prevale il pragmatismo!

Messi da parte i grandi pensatori, quelli che sanno di: Piaget, Tyler, Bloom, Gagnè, Skinner, Guilford, Mager ( mi scusino gli altri se non li ho citati ), si ripristina il voto di condotta perché finalmente qualcuno è entrato nelle classi ed ha capito che metà del tempo del docente viene speso per inutili interventi disciplinari.

Benissimo! Si sono accorti anche che il docente vigilante in mensa è sprecato? Ma bene! Vuoi vedere che stavolta fanno piazza pulita di tutti quei progetti che hanno ridotto la scuola a livello di oratorio in cui i docenti si improvvisano, senza alcuna abilitazione specifica, esperti di teatro, di informatica, di scacchi, di erboristeria, di cinematografia e così via? Non sembra vero! Finalmente qualcuno ha capito che il tempo che impieghi a studiare gli scacchi ti manca poi per il teorema di Pitagora. Da anni, infatti, arrivano alle medie ragazzi che sanno tutto sulla riproduzione delle piante perché hanno seguito il progetto “adottiamo un giardino” ma non sanno leggere e scrivere.

In questa mia rappresentazione perspicua dei problemi scolastici non può mancare una lamentatio sullo studio delle lingue straniere.

Le classi di prima media vengono formate con alunni che hanno studiato, alle elementari, la lingua inglese, altri che hanno studiato il francese, altri lo spagnolo e altri ancora il tedesco. In base a quale criterio? Il criterio della maestra. Ma che criterio è? E’ il criterio che se una maestra ha fatto il corso di 600 ore di tedesco il bimbo impara il tedesco e se lo ha fatto di francese impara il francese. Ma è sicuro che la maestra dopo 600 ore sappia insegnare le lingue e soprattutto è sicuro che l’alunno le impari? Che importa. Tanto poi, quando arriva alle medie, ricomincia tutto daccapo. L’esito? Basta assistere agli esami di terza media: dopo otto anni di studio delle lingue il povero allievo non riesce a mettere due parole in croce in nessuna delle tante lingue studiate. E i genitori sono anche contenti perché i loro figli hanno fatto il bilinguismo e il progetto lingua 2000.

Non fatemi tirare in ballo Lenneberg e Chomsky per documentare quanto siano importanti i primi anni di età per l’apprendimento delle lingue, sicuramente non mancano al Ministero quelli che ne conoscono anche di altri, fatemi dire però che non ha senso far insegnare le lingue alle maestre che hanno fatto un semplice corso, quando abbiamo una fila interminabile di laureati in lingue straniere e che hanno anche frequentato il corso di specializzazione biennale (i famosi corsi SISS) che abilita all’insegnamento. Se le lingue venissero studiate seguendo un percorso didattico che va dalla prima elementare alla terza media, dopo otto anni di studio di una lingua, l’esito sarebbe certamente diverso da quello attuale.

La lamentatio non è completa se non si mettono in piazza anche i problemi del tempo prolungato.

Il tempo prolungato è un servizio? Benissimo ma perché deve essere intermittente?

Il lunedì si il martedì no. Abbiamo scoperto che la compresenza nel tempo prolungato è uno spreco di risorse? Utilizziamo queste risorse ed estendiamo il tempo prolungato a tutti i giorni della settimana. Si vuole offrire un’ opportunità in più a chi non ce la fa? Gli si imponga di frequentare la scuola al pomeriggio visto che in Italia la bocciatura è un tabù e le scuole professionali sono una discriminante sociale.

Se in Scienze si studiano gli “oggetti della natura” e in Tecnica gli “oggetti dell’uomo” perché i primi devono essere obbligatori e i secondi facoltativi?

Perchè gli insegnanti di Educazione tecnica non possono insegnare anche scienze visto che spesso sono costretti a spiegare prima il fatto scientifico e poi quello tecnico?

Perché con il grande bisogno che abbiamo di parlare bene almeno la lingua inglese si riducono le ore obbligatorie di inglese nelle scuole medie?

Si possono risolvere questi problemi con una riforma che introduce il criterio delle materie facoltative? E con quale criterio si stabiliscono le materie facoltative? Con il criterio della maestra?

Non riesco proprio a capire che senso abbia una riforma del genere.

Forse, per tornare all’inizio, il termine “riformare” sta assumendo nella scuola italiana il significato che ha quando si va a fare la visita per essere arruolati.

Come vedete stiamo ancora parlando degli stessi problemi.

La Gelmini ha ripristinato il voto di condotta? Bene! Era ora! Riuscirà a mantenerlo? Dipende anche da noi. Non dobbiamo lasciarla sola a combattere, bisogna sostenerla e incoraggiarla. Anzi, sul fronte della disciplina bisogna fare ancora di più. Una volta gli allievi erano terrorizzati dai docenti, oggi avviene il contrario. Quello che accade nelle classi è incredibile e sono convinto che anche voi che mi leggete pensate che stia esagerando. Ci sono classi in cui viene l’ angoscia all’ idea di entrare a fare lezione. Prima di ottenere il silenzio passano dieci minuti. Si entra in classe e pare che non sia entrato nessuno, i ragazzi continuano nel loro lavoro di pubbliche relazioni, di compilazione del diario, che poi viene consegnato alla compagna o al compagno, c’è chi copia i compiti per la lezione successiva oppure chi ascolta le canzoni registrate nell’ ultimo ipod. Appena entrato in classe il docente deve respingere l’ assalto di due o tre allievi che chiedono di andare in bagno ad ogni cambio dell’ ora. Altri dieci minuti servono per rispondere alle note che il docente riceve dai genitori perché non ha mandato il figlio in bagno il giorno prima o perché ha sequestrato il telefonino utilizzato per filmare il sedere della compagna che sta davanti che con i pantaloni a vita bassa mostra la marca delle mutande e non solo (viva il grembiule obbligatorio). Dieci minuti vanno via per verificare che nessuno ha fatto i compiti, perché ormai la maggior parte dei ragazzi ha perso l’abitudine di studiare a casa e il resto serve per fare lezione a quei quattro o cinque che hanno ancora voglia di imparare qualcosa. Se un alunno manda l’ insegnante a quel paese, questi deve avere l’ autorità di sospenderlo seduta stante. Oggi invece per sospendere un alunno maleducato, bisogna convocare il consiglio di classe, far perdere mezza giornata ai colleghi convocati e, se il regolamento lo prevede, dopo quindici giorni arriva la sentenza: “sospensione di un giorno con obbligo di frequenza”. E’ un non senso? Sembra incredibile ma le cose stanno proprio così.

Se vogliamo bene alla scuola bisogna avere il coraggio di cambiare queste storture. La scuola italiana è davvero allo sbando. Un alunno delle scuole elementari costa ai contribuenti circa 5000 euro l’ anno, è mai possibile che dopo aver speso 25.000 euro metà di questi non sappiano nemmeno leggere?


La Gelmini ha reintrodotto il voto numerico.


E’ un messaggio chiaro e comprensibile a tutti. Sapete quante ore si spendono inutilmente nei consigli di classe per mediare su giudizi in cui si litiga se l’impegno è costante, quasi costante o abbastanza costante? Non ci credete? Lo so, sembra impossibile ma è così. I giudizi mediati a colpi di aggettivi risultano, dopo estenuanti litigi, delle frasi prive di significato frutto di un contorsionismo dialettico raggiunto per stanchezza. Anno dopo anno ci siamo abituati a questo teatro dell’ assurdo e non riusciamo più a renderci conto di quanto siamo fuori dalla realtà.

Non è meglio avere il maestro unico nella scuola elementare ed utilizzare il personale che avanza per dare il tempo pieno anche alle scuole medie? Se in una famiglia lavorano entrambi i genitori, i ragazzi che restano a casa il martedì e il giovedì sono abbandonati a se stessi, non hanno la mensa, sono soli a casa e potete immaginare cosa può succedere. C’ è poi la necessità di eliminare lo spreco di risorse dovute a tutte quelle attività che interrompono il lavoro che il docente fa in classe. Fin dal mese di novembre arriva il docente di musica che vuole 6 ragazzi per preparare il saggio di Natale, poi ci sono quelli che si devono allenare per la gara di pallavolo, poi c’è la collega di lettere che chiede tre alunni bravi in informatica che vengono lasciati da soli nel laboratorio a scrivere la poesia di un autore sconosciuto o a scrivere il giornalino della scuola che tiene lontano dalla classe i ragazzi per mesi. Il tutto per la gioia dei genitori e dei docenti che espongono le loro vanità durante le feste della scuola. Io che insegnavo agli allievi di prima media a fare le pagine web, a quelli di seconda a programmare i robot e a quelli di terza gli argomenti per la patente europea non ero nessuno, perché non esponevo nulla dei lavori fatti dagli allievi e le mie attività non venivano nemmeno menzionate dalla preside quando presentava la scuola ai genitori delle elementari. Eppure non credo che ci siano molte scuole in Italia dove si insegna robotica!

Il problema della valutazione non si risolve solo con il ritorno al voto numerico. Nella scuola media si sono abolite le valutazioni trimestrali e introdotti i quadrimestri per dare più spazio alla didattica. Purtroppo, in numerose scuole, i presidi, presi dalla smania di tenere informati i genitori, hanno costretto gli insegnanti ad aggiungere ai quadrimestri altre due valutazioni intermedie e così ai primi di novembre, ci troviamo davanti i genitori che ci chiedono come vanno i loro ragazzi. Ora ditemi voi come si fa in un mese e mezzo a fare un pezzo di programma e valutare 25 alunni! E’ assurdo, ma soprattutto, è una gran perdita di tempo che viene sottratta all’ attività di apprendimento. Inoltre, bisogna prendere atto che la natura non fa crescere tutti gli alunni con gli stessi ritmi così come pretende la scuola. C’è chi matura prima e chi un po’ più tardi, ma questo non deve essere vissuto come un dramma né dalle famiglie e nemmeno dai docenti. Bisogna capire a cosa serve la valutazione. A volte capita che un alunno che dà fastidio in classe, non studia e si assenta molto, venga promosso per “toglierselo dai piedi” e quindi va avanti negli studi senza aver acquisito gli strumenti necessari per affrontare gli studi successivi. Ci sono dei professori che vivono la bocciatura come un insuccesso personale e hanno il terrore di essere giudicati negativamente. A me è capitata una collega di lettere che dava a tutti ottimo e distinto nel tema d’esame di terza media, per impedire al consiglio di classe di bocciare quelli che all’ orale facevano scena muta. Ovviamente molti temi contenevano errori di grammatica gravi e il contenuto era insussistente. Non sarà facile cambiare una mentalità molto radicata nel corpo docenti: si tende a giustificare sempre l’ insuccesso scolastico con motivazioni di ordine sociologico e familiare. (il bimbo non studia perché i genitori litigano tutti i giorni. Come fa un ragazzo a fare i compiti se un giorno sta a casa della mamma e un altro a casa del papa?). Per non dire del danno che fanno i Presidi impegnati a tutelare l’ immagine della scuola che votano quasi sempre per la promozione di alunni che non conoscono e non hanno mai valutato. Bisogna escluderli dalla valutazione. Ritornare alla scuola meritocratica significa promuovere gli allievi che studiano e bocciare quelli che non sanno. Di fatto la scuola italiana è già meritocratica perché, in un modo o nell’ altro, la selezione avviene comunque se pensiamo che solo il 19% degli studenti italiani arriva alla laurea. Se questo è vero qual è il problema? Il problema è che la scuola rifiuta ipocritamente di certificare il reale livello di apprendimento dell’ allievo e lo induce a un percorso scolastico che non è in grado di affrontare, condannandolo al fallimento scolastico. All’ allievo viene negata la possibilità di prendere coscienza delle proprie carenze e di porvi rimedio per tempo, arrecando un danno irreversibile allo studente e alla società. Il sistema dei debiti formativi e del recupero estivo non risolve il problema. Occorre invece ridurre, come già propone la Gelmini, l’ orario scolastico delle lezioni per trovare quelle risorse che consentono alla scuola di offrire un sistema di recuperi disciplinari che devono durare tutto l’anno. Tanto per fare un esempio. Un allievo che non ha raggiunto la sufficienza in matematica, l’ anno successivo frequenterà le ore di lezioni ordinarie e in più verrà assegnato ai corsi di recupero in cui dovrà colmare le lacune accumulate nell’ anno precedente. Ovviamente, sarà possibile sostenere questo sforzo solo per un paio di discipline; nel caso in cui le insufficienze fossero di più si dovrà ripetere l’ anno.

L’ obiettivo del docente deve essere quello di attrezzare l’ allievo per affrontare il corso di studi successivi e quindi sarebbe opportuno capire quali sono le conoscenze e le competenze richieste da chi sta a monte nel sistema scolastico. Bisognerebbe procedere alla valutazione non alla fine del corso di studi ma all’ inizio. Gli allievi di quinta elementare dovrebbero fare l’ esame di ammissione alla prima media. I docenti che valutano l’ allievo sono quelli che si assumono anche la responsabilità della sua formazione e per la quale dovranno rispondere ai docenti del corso di studi successivo. Con questo sistema si introduce anche un criterio oggettivo di valutazione del docente. Non è possibile, per ragioni ovvie, che i genitori o gli allievi valutino i docenti e nemmeno il preside che pur avendone le capacità, non è in grado di capire, se non per gli aspetti marginali, legati alla capacità di tenere la disciplina in classe, quanto valga un docente quando fa lezione. Invece se un docente si assume la responsabilità di accogliere un allievo che non sa leggere, deve anche sapere che corre il rischio di consegnare al docente delle scuole superiori un allievo che poi verrà respinto perché non è stato ritenuto idoneo. Valutare i docenti in base ai corsi di aggiornamento frequentati o in base ai progetti che presenta è una sciocchezza. Ci sarebbe la corsa ai progetti e ai corsi di aggiornamento più strani, si spenderebbero soldi ma la qualità della scuola non migliorerebbe. Si dovrebbe costituire un organismo che valuti i programmi che il docente intende svolgere, mentre il preside dovrebbe controllare che questi programmi vengano effettivamente realizzati. Faccio un esempio. Se un docente di tecnologia, si ostina, e ce ne sono molti, a rifiutare di insegnare informatica, continua a proporre i soliti lavoretti di falegnameria oppure fa fare ai ragazzi i circuiti in cui si accendono le lampadine, il programma del docente avrà un punteggio più basso. Come sarà bassa la valutazione di quei docenti che svolgono la metà degli argomenti di altri, perché se la prendono comoda e il tutto risulta debitamente scritto nella programmazione. Ovviamente diventa essenziale il controllo esercitato dal preside sull’ effettivo svolgimento del lavoro progettato. Potrebbe accadere che non in tutte le scuole si riescano a realizzare le attività proposte dai docenti perché prive degli strumenti necessari; questo spingerebbe le scuole a dotarsi degli strumenti e i docenti ad andare nelle scuole in cui possono lavorare meglio.

La scuola italiana va riformata profondamente soprattutto nei contenuti degli insegnamenti proposti. Bisogna anche fare in modo che i docenti che non sanno insegnare vengano dirottati su altri lavori; non si può rovinare la vita di tanti allievi solo perché non si ha il coraggio di guardare in faccia la realtà. Ci sono ancora molti docenti che non sono laureati e che sono diventati obsoleti sul piano professionale. Ci sono docenti che insegnano matematica e non l’ hanno mai studiata. Bisogna rivedere le classi di concorso e sistemare certe stranezze che si trovano solo nel sistema scolastico italiano. C’è uno squilibrio tra discipline umanistiche e scientifiche. Lo studio delle lingue dovrebbe seguire un percorso parallelo a quello scolastico, con momenti di valutazione autonome finalizzate alla certificazione dei livelli standard di apprendimento (toefel). Se un allievo frequenta per otto anni un corso di lingua straniera senza le interruzioni dovute al cambio delle classi, i risultati sarebbero straordinari. Le attività di laboratorio si dovrebbero svolgere, come già avviene nelle università, al pomeriggio, destinando la mattina all’ apprendimento delle conoscenze. Oggi accade che tra un’ ora e l’altra di lezione gli alunni si mettono in fila per andare nel laboratorio di informatica, poi c’è la fila di quelli che vanno in palestra, poi c’è la fila del laboratorio di scienze, poi la fila che va a fare musica e poi quella di artistica. Insomma un via vai di ragazzi che si spostano avanti indietro per la scuola, perdendo tempo prezioso e creando non pochi disagi e accade spesso che l’ insegnante dell’ ora successiva stia in classe ad aspettare che gli alunni tornino dalla palestra o dagli altri laboratori. Le ore del mattino andrebbero ridotte perche il periodo che va dalle 8 alle 13 e 45 è troppo lungo. Alle attività di laboratorio si potrebbero destinare i docenti non laureati, le maestre in esubero e i docenti neoassunti. C’è poi da regolamentare le attività di sostegno e le modalità di inserimento nelle classi degli alunni immigrati. Attualmente vengono inseriti nella classe in base all’ età anagrafica. Se questo non sa leggere, non conosce la lingua italiana e sta in classe ad annoiarsi non importa. Basta che socializzi. Questo è l’ imperativo della scuola di oggi!