Ringrazio Max Bruschi per avermi segnalato il testo del discorso al Senato di Mariastella Gelmini:
Signor Presidente del Senato, onorevoli senatori!
Un settimanale da sempre piuttosto severo col nostro Paese e con la maggioranza che oggi lo guida, l’Economist, all’indomani della presentazione di questo decreto ne ha parlato in maniera estremamente lusinghiera.
Lo ha definito, dopo aver descritto in maniera impietosa il nostro sistema universitario, come un serio tentativo di cambiamento, una “buona notizia” per gli studenti e per quei docenti che interpretano l’insegnamento accademico e la ricerca come una missione determinante per il Paese.
Spero che il Parlamento voglia confermare questa buona notizia e darne altre e di migliori, a partire dall’approvazione degli importanti emendamenti, condivisi dal Governo, sottoscritti dal senatore Valditara, che ringrazio unitamente al presidente Guido Possa e a tutta la commissione per la sua opera scrupolosa e attenta quale relatore del provvedimento e quale accademico che sa guardare ai mali del sistema per correggerli.
Mi auguro che questo sia il primo passo verso la rivoluzione di un sistema che oggi appare, ed è, in gran parte paralizzato. Spero nell’aiuto del Parlamento, di una maggioranza salda nella spinta riformatrice e di una opposizione da cui sono arrivate utili ed apprezzate indicazioni in sede di commissione e, mi pare di poter dire, una generale comprensione dello spirito di fondo che anima il decreto, affinché ogni ateneo possa dare un contributo di qualità al futuro dell’Italia.
Affrontiamo questo dibattito sotto gli occhi attenti del Paese, di un’opinione pubblica frastornata dalle inchieste che hanno messo sotto accusa alcuni esempi di cattiva gestione e di involuzione del sistema universitario. Oggi con questa legge possiamo dare all’Italia il segno di una svolta, all’insegna del rigore e del riconoscimento del merito. Dobbiamo farlo per il futuro di tutti noi, ma dobbiamo farlo soprattutto per dare giustizia alle migliaia di validissimi studiosi che insegnano e fanno ricerca nei nostri atenei, e che non meritano certo di essere accomunati in una censura, talora in ogni caso sopra le righe, che riguarda solo un malcostume circoscritto. Sono e resto convinta che l’università italiana abbia bisogno di meno regole, e comunque di regole che liberino le energie dei suoi migliori talenti, in primo luogo dei giovani.
Come ebbe a ricordarmi la senatrice Finocchiaro nel corso del precedente dibattito, citando il vangelo di Giovanni, “all’inizio era la parola”. Oggi, le parole di questo decreto costituiscono l’inizio di un cambiamento più volte tentato e sempre rimasto incompiuto, e mi piace qui ricordare tra i miei predecessori il ministro Ruberti, autore allora contestatissimo delle norme sull’autonomia universitaria, il ministro Berlinguer e il ministro Moratti, i cui tentativi di coniugare a quell’autonomia l’inscindibile concetto di responsabilità e il riconoscimento del merito costituiscono il filo di continuità con gli interventi che intendo promuovere.
Una continuità che rivendico, che ho inteso rappresentare, nella scorsa legislatura, presentando un ampio disegno di legge sul merito. Una continuità che fa da sfondo alle linee guida appena presentate cui abbiamo intenzione di legare i provvedimenti in questa legislatura.
Non mi illudo che non ci saranno proteste. Ci sono corporazioni che reagiscono all’attacco ai loro interessi consolidati e cercano di sabotare, a partire da questo decreto, ogni ipotesi di reale cambiamento.
Ebbene, col vostro aiuto, queste corporazioni non vinceranno. Oggi noi iniziamo a curare alcune piaghe di quel sistema.
Iniziamo a curare, in maniera non definitiva ma certamente salutare, viste le reazioni che gli articoli del decreto hanno provocato, la piaga di prassi concorsuali giudicate universalmente inidonee a selezionare i migliori docenti, impedendo che sia un sistema inadeguato a immettere in ruolo alcune migliaia di docenti. Sono consapevole del fatto che il sistema del sorteggio presenta limiti e problemi, non maggiori né minori di tutti i complicati sistemi concorsuali che sono stati provati in Italia negli ultimi decenni. In questo momento l’esigenza prevalente era quella di dare un netto segnale di discontinuità rispetto ad una prassi ormai insostenibile, ma di farlo limitando al massimo il disagio e i ritardi per le migliaia di studiosi che del tutto legittimamente attendono da tempo di partecipare ai concorsi, bloccati ormai da tre anni per una decisione del precedente Governo. Il metodo che abbiamo adottato rappresenta quindi una misura di emergenza strettamente una tantum e insieme l’ennesima dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che un sistema universitario ampio, complesso e multiforme non può più reclutare i docenti con strumenti che risalgono ad epoche molto lontane e molto diverse.
Come indicato nelle Linee Guida, intendo aprire immediatamente un confronto ad ampio raggio con il mondo accademico e il Parlamento per riflettere con spirito profondamente riformatore su come cambiare pagina. Mi auguro che questa sia davvero l’ultima volta in cui il Governo, il Parlamento e le Università sono costrette a dibattere su alchimie concorsuali lontane anni luce dalle esigenze di una università libera e moderna e di un Paese che da essa si attende un esempio e un modello.
Iniziamo a dire che autonomia non significa, non può più significare arbitrio nella gestione dei fondi per il funzionamento degli atenei, perché dobbiamo esercitare lo stesso rigore che ogni amministratore pubblico ha il dovere di esercitare quando gestisce il denaro della collettività.
Iniziamo a porre il merito, soprattutto quello misurato dalla qualità della ricerca scientifica, come criterio per la ripartizione di una quota significativa dei fondi statali, il 7% già nel 2009, una quota che vogliamo far diventare sempre maggiore, sino al 30%, invertendo un trend che ha privilegiato esclusivamente la spesa storica.
Iniziamo a dire basta, se come mi auguro verranno approvati alcuni emendamenti, a un meccanismo di automatismi di anzianità slegato dalla produzione scientifica. Iniziamo a riaprire le porte dell’università ai giovani e a riequilibrare un corpo docente che negli ultimi anni sembra aver pensato soprattutto alle esigenze di chi già era all’interno del sistema rispetto a quelle dei giovani meritevoli che aspiravano ad entrarvi.
A questi cambiamenti il Governo crede davvero: per questo ha incrementato in modo cospicuo le risorse che gli atenei potranno impiegare già a partire dal 2009 per nuove assunzioni, soprattutto quelle di giovani ricercatori. Ora dobbiamo fare uno sforzo collettivo per dimostrare che la volontà di riforma del sistema universitario è convinta e radicata: è in questo modo che potremo impostare su basi nuove le discussioni sui finanziamenti statali a partire dal 2010.
Ci sono nel decreto numerose altre novità di rilievo: ne segnalo solo due. Diamo maggiori certezze ai ricercatori degli Enti pubblici, perché pure in mezzo al rigore economico impostoci dall’obiettivo del pareggio di bilancio riteniamo di non dover sacrificare una delle leve fondamentali per lo sviluppo del Paese.
Rendiamo più trasparente e rigoroso l’iter per le chiamate dirette dall’estero, eliminando ogni tetto numerico, ed estendendole anche agli enti di ricerca. L’obiettivo non è tanto quello di far “rientrare” gli studiosi italiani, ma, più ambiziosamente, quello di far sì che tutti gli studiosi possano considerare l’Italia una sede accogliente per condurre le loro ricerche: dobbiamo ritornare ad essere a pieno titolo una delle capitali del sapere nel mondo, aperta ai migliori talenti.
Ma nell’onda della protesta ci sono giovani, che pure del sistema che vogliamo abbattere sono vittime, cui è stato raccontato che il cambiamento è l’opposto di quello che in realtà è. Io ho sotto gli occhi le loro proteste, ma più ancora il loro futuro. Accolgo anche i loro insulti, perché sono convinta di seguire le leggi del giusto.
Ma a loro dico di non cadere nel grande inganno, di non confondere il diritto allo studio col diritto a conseguire un pezzo di carta, che è invece lo svilimento dello studio.
Noi vogliamo dire basta ai pezzi di carta, basta a strumenti utili, forse, solo per partecipare a qualche concorso pubblico. Noi vogliamo che la laurea torni ad essere la dimostrazione di una fatica compiuta, la prova di una cultura e di una capacità conseguita. Noi diciamo sì al precetto costituzionale che ci chiede di garantire ai meritevoli, anche se privi di mezzi, il raggiungimento dei più alti gradi dell’istruzione. Non solo 65 milioni di euro ci consentiranno di finanziare ulteriori progetti per residenze universitarie, ma 135 milioni di euro in più per il fondo di finanziamento delle borse di studio consentiranno (se le Regioni faranno, e ne sono certa, il loro dovere) di dare quanto la Repubblica deve loro a tutti gli aventi diritto, a tutti gli studenti “meritevoli e privi di mezzi”.
Onorevoli senatori, si tratta in questo senso dell’incremento di risorse più forte di sempre. L’ultimo incremento significativo su quel fondo avvenne 3 anni orsono ad opera del ministro Moratti, ed era stato di 30 milioni. Oggi molti, troppi di coloro che hanno diritto alla borsa di studio non la ricevono. Ancor più vergognoso è che questa situazione sia “a macchia di leopardo”. Mentre in Lombardia, Piemonte e in altre (poche) Regioni tutti gli studenti idonei ricevono la borsa di studio, in media, più del 20% degli idonei non riceve la borsa di studio per mancanza di fondi; ed in alcune Regioni del Meridione, proprio dove ce ne sarebbe bisogno, questa percentuale di ingiustizia supera il 50%.
Questo articolo del decreto mi sembra la migliore risposta a chi, in buona o in mala fede, ha dichiarato che la legge 133 tagliava i fondi per il diritto allo studio. Così non era. E il decreto di cui vi chiedo l’approvazione fissa un indirizzo esattamente opposto a quanto propagandato.
Onorevoli Senatori! Il Paese ci chiede, in tutti i campi del nostro agire politico, rigore, serietà, utilizzo oculato delle risorse, segnali forti di un cambiamento da rendere irreversibile. Mi auguro che noi tutti vorremo essere all’altezza di queste aspettative.
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