giovedì 8 maggio 2008

Ricordiamo Aldo Moro e tutti i servitori dello stato uccisi

Il 9 maggio di trent'anni fa veniva ritrovato il cadavere di Aldo Moro nel
bagagliaio di una Renault R 4 rossa in Via Caetani, a metà strada fra la
sede della D.C. in Piazza del Gesù e quella del P.C.I. in Via Botteghe
Oscure.
Dopo 55 giorni di prigionia il Presidente della Democrazia Cristiana fu
ucciso barbaramente dalle Brigate Rosse, ancora oggi quell’ episodio è una
ferita aperta nella storia politica del nostro paese.
Attraverso la commemorazione della morte di Aldo Moro vogliamo ricordare
tutte le vittime del terrorismo politico, tutti coloro che hanno perso la
vita nel servire lo Stato.
Il loro sacrificio deve essere d’esempio per le nuove classi dirigenti del
nostro paese, uno stimolo ad anteporre il bene comune agli interessi diparte.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Il vero eroe cristiano, non chi con le sue malsane idee ha portato al baratro il cattolicesimo politico.

Il commissario Luigi Calabresi eroe cristiano
(da Studi Cattolici – Giugno 2005)
di Luciano Garibaldi




Di Luigi Calabresi, il commissario di polizia assassinato a Milano il 17
maggio 1972, prima vittima degli “anni di piombo”, si continua a parlare
sempre più intensamente in qualificati e autorevoli ambienti cattolici.
Soprattutto dopo che, a Roma, alla fine dello scorso mese di maggio, è stato
presentato il libro di Giordano Brunettin Luigi Calabresi: un profilo per la
storia, edito dalla Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, centro culturale e Casa
editrice di Roma che fa capo a don Ennio Innocenti (indimenticato editorialista
e predicatore televisivo con la sua celebre trasmissione dal titolo Ascolta, si fa
sera). Nel libro sono infatti riunite e pubblicate, in molti casi per la prima
volta, numerose e autorevoli testimonianze che depongono a favore della
vocazione al martirio cristiano del commissario che fu vigliaccamente accusato, da chi sapeva
perfettamente la sua innocenza (e mi riferisco al 99 per cento dell’intellighenzia nazionale
dell’epoca: anni tra il 1970 e il 1972), di aver ucciso l’anarchico Giuseppe Pinelli gettandolo dalla
finestra. A seguito di quelle infami calunnie, giovani rivoluzionari dell’ultrasinistra decisero di
“giustiziare”quell’innocente, che morì, davanti alla sua casa di Milano, raggiunto da una scarica di
rivoltellate. Della assai probabile santità di Calabresi parlarono per primi in un convegno, una
decina d’anni or sono, alcuni intellettuali e sacerdoti tra i quali don Giorgio Maffei, cappellano delle
carceri di Ferrara.
Essi furono rapidamente zittiti da una levata di scudi che comprendeva non soltanto l’ultrasinistra,
ma anche taluni esponenti della cultura cosiddetta “moderata”, ai quali forse faceva difetto un
briciolo di coraggio. Ci si allineò su una definizione sgangherata. I proponenti furono definiti
“monarco-fascisti”.
Linciaggio morale
Forse oggi, dopo il libro di Brunettin (che è professore di storia all’Università di Trieste), occorrerà
cambiare il giudizio su chi propone l’apertura di una causa di beatificazione del commissario,
linciato moralmente dai “signori” della cultura nazionale (di allora e di oggi) e fisicamente dalla
“meglio gioventù” dell’epoca. Il libro è infatti una summa completa non solo della vita e della
morte di Calabresi, ma anche di tutto ciò che dalle fonti più autorevoli è stato detto e scritto su di
lui, sulla sua natura di cattolico osservante e di straordinario testimone della fede.
Ecco per esempio quanto ebbe a scrivere su di lui, pochi giorni dopo il suo assassinio, padre
Virginio Rotondi, il fondatore del movimento “Oasi”, al quale Calabresi aveva aderito fin dalla più
giovane età: “Conobbi Luigi Calabresi molti anni fa, quando era ancora studente universitario. Lo
notai subito. Era il migliore fra tutti, per chiarezza di idee, per profondità di riflessioni, per
franchezza di espressioni. Facemmo subito amicizia e pochi giorni dopo mi chiese di far parte d un
movimento “Oasi”. E’ stato uno dei migliori giovani da me incontrati (e ne ho incontrati decine di
migliaia). Non l’ho mai sentito dire una parola ostile contro qualcuno; e quando sorprendeva me a
dirla, mi guardava con aria di rimprovero. Nel vivo della polemica condotta contro di lui da una
parte della stampa gli dissi più volte: “Ma perché non vai, per esempio, alla redazione di qualche
giornale cattolico a farti conoscere personalmente, affinché qualcuno prenda le tue difese e proclami
l’inattendibilità assoluta delle accuse mosse contro di te?”. Mi rispondeva invariabilmente: “Non ce
n’è bisogno. Io sono tranquillo. Sono nelle mani di Dio. Faccio il mio dovere”.
Ed ecco che cosa scrisse il suo padre spirituale don Ennio Innocenti: “Approfondì la sua cultura
religiosa e partecipò fervidamente a gruppi di giovani e di adulti che si riunivano, con periodica
puntualità, a meditare la Sacra Scrittura. La sua frequenza ai sacramenti diventò quella ideale e la
sua vocazione al matrimonio fu perfettamente orientata. Fu seriamente preoccupato per la scelta
della professione e fui proprio io a incoraggiarlo per la carriera di polizia, essendo anche questa una
importante struttura dove i cristiani devono agire con buon fermento (..). Da Milano spesso mi
telefonava e mi scriveva e io notavo in lui l’evidenza di una straordinaria crescita di serenità, di
spirito di sacrificio e di purezza di intenzione. Qualche mese fa lo chiamai: gli raccomandai, per la
difesa della famiglia e del suo ufficio, una prudente cautela per difendersi efficacemente contro i
male intenzionati, ma mi sentii replicare ch’egli girava sempre disarmato e che non intendeva
prevenire la violenza con la violenza, quando in causa fosse solo la sua persona. “Preferisco
affidarmi solo a Dio”, mi disse. E per Natale mi inviò un biglietto sul quale aveva scritto: “Che cosa
augurare che non rientri nelle solite formule logorate dal tempo e dall’uso? Di conoscere ciò che il
Cristo ci chiede e di fare la sua volontà”.
Degno della Chiesa di Roma
In uno scritto del cardinale Camillo Ruini in un’occasione del trentennale della morte di Calabresi,
riportato nel libro di Brunettin, leggiamo: “Il suo sacrificio è degno della Chiesa di Roma nel cui
seno egli è stato educato. La fama dell’eroismo cristiano di lui, lungi dall’appannarsi in questi
trent’anni, si è estesa e si è consolidata con testimonianze, studi e ripetute argomentazioni di laici,
di sacerdoti e di vescovi. La sua vicenda dimostra che l’educazione cristiana, quando è orientata
secondo i criteri perenni dell’autentica virtù, è capace di far fiorire anche oggi meravigliose
testimonianze di dedizione al bene comune. Possa l’esempio di Luigi Calabresi incoraggiare i
credenti ad essere imitato ad ogni sincero servitore dello Stato”.
Poco tempo prima entrare nella polizia, Calabresi aveva partecipato a un dibattito tra giovani,
dibattito che era stato registrato. Ecco l’inizio del suo intervento: “Ancora qualche settimana e sarò
commissario di Pubblica Sicurezza. Lo dico perché sappiate in quale modo sto per entrare con
queste mie idee. Ma è una strada che ho scelto per vocazione, perché mi piace, perché costituisce
una prova difficile. Avrei molti altri modi di guadagnarmi uno stipendio, ma sono affascinato
dall’esperienza che può fare in polizia uno come me, che vuol vivere una vita profondamente,
integralmente cristiana. Io sono giovane. Ma riandando indietro con la memoria, mi pare che un
tempo il metro con cui si valutavano gli uomini fosse diverso. Si valutavano per ciò che erano, per
ciò che rappresentavano, per la posizione e la stima di cui godevano, per il gradimento che
occupavano nella scala sociale, e così via. Oggi invece quello che conta è il successo, questa
medaglia di basso conio che su una faccia porta stampato il denaro e sull’altra il sesso.
Ammirata memoria
Tre anni fa (dopo che altri sacerdoti, come il già citato don Giorgio Maffei, si erano pronunciati in
proposito) maturò il convincimento di don Ennio Innocenti che i tempi fossero giunti per pensare di
elevare Luigi Calabresi agli onori degli altari. Tra le risposte da lui ricevute è di particolare rilievo
quella di monsignor Francesco Salerno, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura
apostolica. Il vescovo riscontra nella vita di Calabresi la presenza delle virtù cardinali e delle virtù
teologali e ammette che numerose testimonianze “sembrano offrire una conferma che Luigi
Calabresi ha vissuto in questa dimensione la sua breve esistenza, stroncata in modo violento e con
palese odio contro il suo essere a un tempo fedele servitore dello Stato nonché coerente e
coraggioso seguace di Cristo, e potrebbero avvallare l’ipotesi di un processo canonico per cui un
riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa della sua santità”. Subito dopo aggiunge:
“Rileggendo le parole che lo stesso Luigi Calabresi ha usato per descrivere le sue scelte di fede e di
vita, l’ipotesi ora accennata diventa certezza”. Lo stesso monsignor Salerno fu informato dal
cardinale Sodano che papa Giovanni Paolo II, “ricordando la costante dedizione di Luigi Calabresi
al proprio dovere pur fra gravi difficoltà e incomprensioni, auspica che il suo esempio costituisca
stimolo per tutti ad anteporre sempre all’interesse privato la causa del bene comune. Mentre per lui
assicura particolari preghiere, invoca da Dio Padre misericordioso sostegno per la sua famiglia e
quanti ne conservano ammirata memoria”. Monarco-fascista anche papa Wojtyla?